Ho sempre pensato che riuscire ad adattarsi all’ambiente circostante fosse un plus. Mi è capitato spesso che mi dicessero “ah ma sei con noi solo da un anno?!! Pensavo fosse molto di più”. L’ho sempre vissuta come una qualità, ma negli ultimi anni mi sono resa conto che non è sempre così. A quale parte di me ho rinunciato per adattarmi? Cosa mi sono fatta andare bene nonostante andasse contro i miei valori?
Un momento rivelatorio per me è stato quando mi sono ritrovata in un’azienda in cui le varie divisioni erano una contro l’altra. C’erano giochi di potere senza fine, tesi a ottenere più risorse in termini di persone e budget di investimento a discapito delle altre.
Io che ho fatto? Mi sono adeguata! Sono scesa in campo e ho tentato quel “gioco” perché ho pensato che fosse l’unico modo per sopravvivere. Ogni riunione era un’occasione per dimostrare che il lavoro della divisione che guidavo fosse essenziale; ogni mail con in cc decine di persone andava letta all’istante perché qualcuno dei miei poteva essere screditato a favore di un altro; vigeva la credenza che “informazione = potere”, per cui dovevi accertarti che non venissi esclusa da alcune informazioni essenziali.
Adeguarmi ha avuto dei costi enormi.
Costi di tempo: passavo tutto il tempo a “reagire” a quanto accadeva. Ero alla mercé del sistema. Un sistema che stavo alimentando io stessa.
Costi di progetto: nell’economia di una giornata di 10 ore di lavoro lo spazio per la creatività e il pensiero strategico era ridotto al minimo.
Costi di salute: questo modus operandi mi stava completamente prosciugando in tutti i sensi. Ero esausta, frustrata e diciamo pure infelice.
Costi per l’azienda: il fatto che ci fossimo tutti adattati, ha creato dei costi enormi per quell’azienda. Ci sono state circa 30 dimissioni in meno di un anno.
Quando mi sono resa conto che adattandomi stavo contribuendo a creare quel contesto che mi stava “spegnendo”, ho deciso di assumermene la responsabilità e ho cambiato atteggiamento soprattutto verso le persone che mi sembravano più “aggressive”.
Ricordo che durante le prime conversazioni con loro, ero terrorizzata. Temevo che mostrando la mia vera me senza maschere, con le mie difficoltà e le mie idee, significasse aprire il fianco per il colpo di grazia finale. Invece, il piano della conversazione è cambiato e abbiamo iniziato ad ascoltarci e da lì, a poco a poco, abbiamo iniziato a costruire insieme. Con una persona in particolare abbiamo portato a casa diversi successi insieme.
Cambiare prospettiva mi ha permesso di cambiare me stessa, il contesto intorno a me, le reazioni dei colleghi e le interazioni tra noi. Inutile dire che non è stato con tutti un successo. Sarebbe stato necessario un lavoro di trasformazione culturale che partisse dall’alto per scardinare il paradigma del dividi et impera.
Che cosa sarebbe stato possibile se la collaborazione e la fiducia costruita con la mia collega mia pari si fosse estesa a tutte le altre divisioni? Cosa avremmo potuto creare insieme con tutte le nostre competenze e qualità, invece di farci la guerra? Quanto ne avremmo guadagnato tutti?
Cerco di dare una risposta a queste domande ogni giorno, verificandolo su campo con le aziende, i team e le persone che incontro nel mio lavoro e confesso che rimango molto toccata dall’energia, dalla creatività e dalle soluzioni che emergono quando le persone sentono di poter contare sulle altre. È questo il contesto che voglio contribuire a creare, perché, diciamocelo, è tutto un altro vivere.